UNA GUERRA TRA LE TRINCEE DI GHIACCIO: LA GUERRA BIANCA (1915 – 1918)

In questi giorni, il calendario segna la ricorrenza dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando D’Asburgo e della sua consorte, avvenuta il 28 giugno 1914, ad opera di un nazionalista serbo: è l’episodio che segnerà lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. A distanza di cinque anni esatti, grazie al Trattato di Versailles, la Grande Guerra volgerà al termine, al modico prezzo di oltre 24 milioni di morti.  

La Prima Guerra Mondiale fu anche soprannominata “guerra di trincea”, definizione dovuta proprio al modus operandi delle armate coinvolte nelle fasi belliche. Non si parla mai, tuttavia, di un’altra guerra in itinere definita dagli studiosi come una delle guerre più estreme mai combattute nella storia: La Guerra Bianca. 

Con il termine Guerra Bianca si fa riferimento ad una serie di scontri avvenuti tra il 1915 e il 1918, a carattere prevalentemente difensivo, che videro protagonisti il Regno D’Italia e L’Impero Austro-Ungarico, affrontati a 3000mt di altezza, lungo l’asse Alpi Retiche Meridionali – Dolomiti. Per l’occasione, furono reclutati per il fronte italiano gli Alpini e per il fronte austro-ungarico gli Standschützen (un corpo costituito da uomini esonerati dal servizio militare, che comprendeva anche giovani al di sotto dei 18 anni) addestrati per difendere i confini interni del territorio, ma anche esperti dei percorsi montuosi. Nello specifico, gli italiani si insediarono lungo l’asse Adamello – gruppo Ortles Cevedale – Passo del Tonale – Corno di Cavento, questi ultimi punti strategici e di controllo persi e riconquistati dall’esercito fino alla fine del conflitto. 

Sulla falsariga della Grande Guerra, in primo luogo, occorreva garantire la difesa dei confini: l’esercito si adoperò nella costruzione di gallerie scavate nella roccia e nel ghiaccio e usate come deposito di materiali, approvvigionamento e come punto di focus strategico; le suddette, sempre sotto manutenzione per via della conformazione delle rocce, sostituirono i fortini preesistenti, troppo esposti ai nuovi mezzi di artiglieria a tiro balistico, capaci di raggiungere il bersaglio a decine di chilometri. Ogni galleria era provvista di una fessura, sulla quale erano posizionati gli ordigni. Ulteriori strumenti impiegati furono la messa a punto di teleferiche, per facilitare il passaggio tra un’altura e l’altra e per il trasporto di merci; e di tragitti segnati e sterrati, per facilitare salite e discese e non disperdere le tracce dei punti di controllo. 

In secondo luogo, era necessario garantire la sopravvivenza dell’esercito. La mortis causa più diffusa tra i soldati era la Morte Bianca, un tipo di decesso provocato da assideramento, mancanza di ossigeno, disidratazione ed ipotermia. L’esercito, infatti, doveva sopportare picchi climatici tra i -20 e i -40 gradi Celsius. Gli approvvigionamenti erano spesso congelati dal freddo e scaldati a mezzo di stufe a legna o addirittura tra gli indumenti dei soldati; scarse erano altresì le possibilità di mantenere una sufficiente igiene personale. Estreme erano anche le condizioni attraverso cui i soldati dovevano trasportare l’artiglieria, che veniva divisa in pezzi più piccoli e facilmente trasferibile. 

Importante per le sorti del conflitto fu il trasporto a scaglioni, a 3236 mt di altitudine, di un cannone di artiglieria media del peso di 6 tonnellate, ribattezzato “L’Ippopotamo”, che impiegò l’intervento di duecento uomini, molti dei quali perirono durante il tragitto. Il suddetto sarà posizionato sulla Cresta della Croce, sull’Adamello, e sferrerà i suoi primi colpi nella primavera del 1917 verso il Corno di Cavento, all’epoca in mano agli austriaci e successivamente passato in mano agli italiani. La Guerra Bianca terminerà con la fine della Grande Guerra, nel 1918. 

Oggi, la Guerra Bianca è raccontata dai resti dei sentieri e gallerie residue, percorribili e visitabili a mezzo di guide esperte. All’interno, sono stati ritrovati documenti di soldati, lumini da brandina, scatole di munizioni adoperate come portalettere, fotografie e ricordi di persone amate. Con lo scioglimento dei ghiacciai, la natura sta riportando alla luce i cadaveri dei superstiti, che stanno via via tornando ai loro Paesi di origine, ove i cari possono commemorarli; tra questi, vi sono alcuni del Battaglione del 4° Reggimento Alpino a cui presero parte soldati del canavese, dell’Ossola e del Lago Maggiore. 

Roberta Bagnulo 

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