TOURIST TROPHY, 60 KM E 255 EROI

Dal 1907 si organizza un trofeo, sull’isola di Man, un trofeo che non forgia campioni ma eroi, un trofeo pericolosissimo, che solo i piloti più coraggiosi hanno l’ardire di tentare.
Stiamo parlando del Tourist Trophy, l’ultima grande corsa su circuito cittadino, allora come oggi si correva tra case, steccati, marciapiedi, lampioni, in precarie condizioni di sicurezza e col meteo spesso nemico.
Oggi l’anello stradale misura 37,73 miglia, ossia 60 chilometri e 720 metri e viene ripetuto per sei volte nelle classi principali e per tre o quattro in quelle minori.
Una sessantina di curve sulle oltre 200 totali sono dedicate ai piloti che vi hanno compiuto le maggiori imprese o che vi hanno perso la vita in incidenti di gara, questi sono gli eroi della Isle of Man TT Race.
La vita umana è relativa alla Isle of Man TT Race, il dorato alloro della vittoria è l’unico valore e l’unico agognato desiderio che guida e permea gli spiriti indomiti dei guerrieri dell’asfalto che gareggiano in questa mortale tenzone, a colpi di gas e pieghe ai limiti della fisica si sfidano per il primo posto consapevoli che non esiste margine d’errore lungo i micidiali 60km a giro che devono percorrere a tempi di record.
Una corsa leggendaria che ancora oggi si snoda nello stesso percorso che i primi ardimentosi percorrevano agli inizi del secolo, omaggiandoli con rombanti motori e gesta epiche.
Fu la morte del pilota italiano Gilberto Parlotti, precipitato in un burrone dopo aver perso il controllo del suo mezzo, a sancire la divisione in due categorie dei piloti di moto.

Quelli specializzati nei circuiti su pista, dove le vie di fuga sono ampie e ovunque e dove si può spingere al massimo la moto, consci che difficilmente una caduta potrebbe costare la vita, e quelli cosiddetti “romantici”, amanti del rischio e del pericolo, che paradossalmente possono sembrare più prudenti, in quanto costretti a dosare con parsimonia la manopola del gas, ma la cui incolumità è messa estremamente più a repentaglio.
In tempi recenti sono pochi i campioni che sono riusciti a competere ad alti livelli in entrambi i generi di gare. Tra loro spicca Carl Fogarty che, partendo dall’isola di Man nel 1992 quando trionfò con una Yamaha di serie presa in prestito da un concessionario, si affermò poi sulle piste di mezzo mondo vincendo per ben quattro volte il titolo mondiale Superbike.
Il nome che resta però maggiormente legato a quello del celebre Trofeo appartiene ad una dinastia nordirlandese di motociclisti: i Dunlop.

Joey Dunlop è la stella assoluta della manifestazione. The “King of the Mountain”, dopo aver vinto ben 26 volte la classica di Man ed aver esorcizzato per anni i rischi dello Snaefell, ha trovato la morte nel 2000 durante una gara minore in Estonia.

Suo fratello Rob ha recentemente seguito le sue tragiche orme, scomparendo durante la North West 200 del 2008, un’altra prestigiosa classica del motociclismo stradale britannico.

Robert Dunlop, in quell’occasione iscritto alla gara insieme ai figli Michael e William, rimase ucciso in un tragico incidente durante le prove di qualifica del venerdì. Due giorni dopo Michael, commuovendo l’intera Gran Bretagna, non rinunciò a correre: vinse nettamente la prova e, tra le lacrime, dedicò il successo al padre.
Un successo, quello di Joey, ancora ineguagliato, che lo inserisce a pieno titolo nella rosa dei più importanti ed impavidi bikers del mondo.
I titoli in palio portano esclusivamente gloria e non valgono per alcun tipo di campionato, questo aspetto contribuisce a conferire  all’Isle of Man TT Race quell’incredibile aura di intramontabile romanticismo ed ai suoi piloti quell’iconica identità cavalleresca.

Christian Longatti

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