QUINTO POTERE, COME GHIACCIO NELLE VENE
Da sempre la società ci abbaglia con immagini, video e suoni che permeano la nostra esistenza. I poteri forti muovono dei fili spesse volte insivibili, a cui sono collegati la maggior parte delle cose che influenzano le nostre scelte. Nel corso degli anni le cose non sono mai cambiate. O almeno non in meglio.
Per non parlare poi dell’avvento della tecnologia, che avrebbe dovuto renderci liberi dal giogo dell’arretratezza per lanciarci in una nuova e comoda dimensione, dove essere liberi di fare quello che si vuole quando lo si vuole non è nient’altro che un pericoloso specchietto per le allodole, moderno strumento di controllo delle masse su larga scala.
In tempi in cui le cosiddette fake news, che si diffondono attraverso la Rete e i social network come virus in grado di infettare la capacità individuale di scindere fatti veri da palesi stronzate, il concetto espresso nel film Quinto Potere è ciò che al meglio sintetizza questa situazione.
Come una moderna Cassandra, il regista americano Sidney Lumet dirige una pellicola in grado di essere una potente premonizione cinematografica dal forte impatto narrativo, che a distanza di quarantadue anni dalla sua realizzazione mette i brividi per la sua sconcertante attualità.
Il film nasce principalmente come un feroce atto di accusa nei confronti dell'(allora) centralizzato potere della televisione ma che si estende alla società tutto: dai “carnefici” alle vittime di questo sistema di controllo catodico su larga scala.
Il personaggio di Howard Beale, commentatore televisivo dell’emittente televisiva UBS, ormai stanco e segnato dalla morte della moglie, viene licenziato dopo undici anni di onorata carriera e presenza televisiva poichè l’indice di gradimento d4lla sua trasmissione è pericolosamente precipitato. Decide quindi di annunciare il suo suicidio in diretta televisiva a partire da una settimana dalla quella sua sconvolgente dichiarazione.
In breve tempo Beale diventa il pazzo profeta dell’etere, in grado di essere quel personaggio che usa le telecamere per portare nelle case degli americani quella verità che da troppi anni era stata negata. Colui che era considerato solamente un folle dalla carriera ormai compromessa diventa una sorta di grillo parlante per la lobotomizzata società incollata davanti allo schermo, in attesa di ricevere nuovi input da quel sistema che, silenziosamente, aveva ormai abbondantemente plagiato la sua coscienza.
Il successo del film di Lumet sta nel fatto che chiunque di noi può facilmente riconoscersi nella ribellione culturale di Beale. Esattamente come il suo personaggio, il regista statunitense ha voluto lanciare un messaggio che all’epoca ebbe il suo apice nel suicidio in diretta della giornalista americana Christine Chubbuck.
Una nazione intera perennemente incollata ad uno schermo, non più in grado di poter formulare un pensiero indipendente, è più facile da controllare. Panem et circenses, come dicevano i latini. E una risata seppellirà il potere del libero pensiero. Un film che suona come una profezia, soffocata dalle oscure trame della bancarotta morale di una società abbagliata da falsi dei e da necessità imposte che nulla hanno a che fare con i problemi reali della vita di tutti i giorni.