ALICE IN CHAINS, L’ANIMA OSCURA DEL GRUNGE
Se parliamo di Grunge, la maggior parte delle persone citano sempre e solo i Nirvana. Il gruppo di Kurt Cobain, Dave Grohl e Krist Novoselic hanno permesso all’industria discografica e al mondo di conoscere quello che, prima della pubblicazione di Nevermind del 1991, era considerata una moda tra giovani capelloni a cui piaceva andare in giro con strane camice a quadri da boscaioli e jeans strappati. Il primo lavoro in studio della band di Cobain era un concentrato di rabbia giovanile, disagio esistenziale e sociale tramutato in un rombo di tuono che si propagava dai loro amplificatori valvolari per arrivare a scompigliare le vaporose capigliature di coloro che ruotavano ancora nel mondo del Glam Rock. Il loro secondo disco fu quindi un pretesto per i discografici incravattati di entrare in quella cultura di strada che rifiutava ogni tipo di convenzione sociale ma che in breve tempo divenne un fenomeno culturale di massa incontrollato. Improvvisamente tutto e tutti divennero Grunge, senza sapere realmente il perché. Fu così che il Seattle Sound ebbe il suo periodo di massimo splendore, per poi consegnare la sua storia alla leggenda in seguito al rumore dello sparo di quel fucile che mise fine alla vita terrena di Kurt Cobain. E questa è la prima parte della storia del Grunge. La seconda ha un altro nome e un diverso protagonista. Stiamo parlando degli Alice in Chains, gruppo di Seattle fondato a Seattle nel 1987 da Layne Staley e dal chitarrista Jerry Cantrell. In seguito vennero reclutati anche il batterista Sean Kinney e il bassista Mike Starr, sostituito poi nel 1993 da Mike Inez per una dipendenza da eroina che gli impedirà di continuare a seguire la band. La pubblicazione del loro primo EP, Facelift, risale al 1990 e contiene una delle loro canzoni più famose, Man In The Box. Fin dal loro primo lavoro si possono notare alcuni elementi caratteristici che diventeranno tratti distintivi della band e che contribuiranno al loro successo. Sicuramente tra questi fattori c’è la voce di Staley, una delle più belle del panorama Grunge, in grado di essere molto versatile e di esprimere al meglio il contenuto di ogni brano. Poi vi è la grande capacità virtuosistica di Jerry Cantrell, in grado di donare sfumature di stile ai lavori della band di Seattle. Ben presto gli Alice In Chains diventano l’anima più oscura del Grunge, sia per l’intensità dei contenuti dei loro testi che per la durezza del loro sound che strizzava l’occhio al rock psichedelico e al metal. Nel 1992 Staley e soci danno alle stampe Dirt, lavoro che meglio rappresenta l’essenza stessa del gruppo e del genere musicale che rappresentano. In questo album sono presenti pezzi del calibro di Would?, brano che parla della morte per overdose di Andrew Wood, cantante del gruppo grunge Mother love Bone; Rooster, canzone che parla dell’esperienza in Vietnam del padre del chitarrista Jerry Cantrell; Angry Chair e Down In A Hole (una delle power ballad più belle del gruppo). Sebbene l’album sia un gran successo di critica e di pubblico, la presenza di temi molto oscuri e profondi quali la solitudine e la dipendenza diedero adito ai media dell’epoca all’idea che Layne Staley fosse dipendente dall’eroina. Queste voci, che successivamente trovarono conferma, vennero arginate dalla loro epica esibizione al festival musicale Lollapalooza del 1993. L’anno seguente pubblicarono Jar Of Flies, disco dalla massiccia presenza di brani realizzati in acustico. La nuova fatica discografica degli Alice In Chains era permeato anche da sfumature sonore che sfociavano nel blues e che si armonizzavano alla perfezione con la vocazione prettamente acustica dell’intero disco. Le voci sulla dipendenza di Staley si rincorrevano con insistenza. Nel 1995 venne prodotto un album omonimo comprendenti le potenti e solide Grind, Sludge Factory, Again, God Am e Frogs. L’ultima vera perla della discografia degli Alice In Chains è l’Unplugged, datato 1996, dove la maggior parte dei successi del gruppo vengono suonati in chiave acustica. Stanley, molto provato da una condizione di salute decisamente non ottimale, si sforzò per dare una resa massima ai pezzi. Ne uscì uno degli album più intensi dell’intera serie degli Unplugged, programma di Mtv che era diventato oramai un must nella discografia degli artisti e dei gruppi dell’epoca. L’esibizione fu molto intensa e divenne un classico del programma insieme a quella dei Nirvana. Nello stesso anno un grave lutto colpi Layne Staley: la sua ragazza morì a causa di un infezione al cuore dovuta all’abuso di eroina. Ciò fece sprofondare il cantante degli Alice In Chains in una depressione dalla quale non ebbe più modo di riprendersi. Diventò schivo e solitario, nonché sempre più schiavo di quell’eroina che il 5 aprile del 2002 lo farà morire per overdose. Dal febbraio 2005 Cantrell, Mike Inez e Sean Kinney si esibirono in un concerto benefico e da allora hanno portato avanti il progetto degli Alice in Chains con alla voce William DuVall proveniente dai Comes With The Fall. Ma questa, come ben intuirete, è davvero un’altra storia.
Hank Cignatta