TORO SCATENATO: QUANDO LA POESIA INCONTRA IL CINEMA ( E DIVENTA ARTE)
Toro Scatenato non è un semplice film. E’ uno di quei classici casi in cui il cinema diventa una forma di espressione talmente raffinata che la macchina da presa fa da testimone a qualcosa di grandioso. Di epico, in grado di travalicare quelli che sono i comuni canoni di comunicazione per veicolare un concetto che arriva dritto al cuore come i più potenti dei messaggi. Il fecondo sodalizio artistico tra Robert De Niro e Martin Scorsese, iniziato negli anni Settanta con Mean Street, approda nella decade successiva con uno dei film più significativi della filmografia del regista italo americano. E’ impossibile non citare la profonda trasformazione fisica che ha visto protagonista De Niro (che gli valse l’Oscar come miglior attore protagonista), che lo vide ingrassare di circa trenta chili per interpretare Jake LaMotta in la con gli anni e vittima degli eccessi. Per mezzo della sua macchina da presa Scorsese in Toro Scatenato è in grado di filtrare la realtà con il suo stile unico ed inconfondibile, riuscendo a miscelare sapientemente una buona dose di realismo e crudezza capace di rendere epica la storia narrata. A differenza di altri film dell’epoca sulla Nobile Arte, Scorsese scelse di girare il film in bianco e nero per diverse ragioni. La prima è da ricercarsi come metodo per cercare di evitare l’impietosa scure della censura che avrebbe potuto tagliare alcune delle scene più cruente del film; la seconda invece è per dare un senso di autenticità temporale, in quanto molte foto e video dell’epoca non erano a colore. La scelta si rivelò vincente, in quanto riesce a dare alla pellicola un senso di ispirazione neorealista. Toro Scatenato si differenzia anche per essere uno dei film con i titoli di testa più belli della storia di Hollywood. Infatti all’inizio della pellicola possiamo vedere Jack LaMotta sul ring, intento a scaldarsi per un imminente incontro, con indosso un accappatoio maculato con il quale era solito salire sul quadrato prima di ogni incontro. La macchina da presa riprende la scena in un ambiente dove aleggia una fitta nebbia e gli unici elementi ben visibili sono le corde del ring e Jake LaMotta, come a significare che il protagonista è stato veramente libero solo quando calcava il quadrato. A fare da commento musicale alla scena vi è l’intermezzo della Cavalleria Rusticana di Mascagni, in grado di dare quell’immenso ed irripetibile senso di poesia al tutto. La rivalità tra il pugile italo americano e “Sugar” Ray Robinson è una delle scene più famose del film sia dal punto di vista stilistico che narrativo. Un match duro, violento, dove Scorsese non lesina sui dettagli più cruenti.La scena anticipa anche la solitudine nella quale sprofonderà il protagonista a causa di alcune sbagliate scelte di vita. Ricco di pathos è anche il monologo finale, dove un LaMotta ormai ritiratosi dalla Boxe, visibilmente ingrassato, vittima degli eccessi. Compra un night club che chiama con il suo nome, dove fa l’intrattenitore e dove passa gran parte del suo tempo trascurando la paziente moglie Vickie e i figli. Dopo un’accusa di sfruttamento della prostituzione che lo porterà prima a staccare le gemme dalla sua cintura di campione del mondo e poi in prigione, l’ormai vecchio e stanco Jake è nel suo camerino, intento a ripetere il monologo che da li a poco avrebbe dovuto portare in scena. Uno delle storie sportive più belle di sempre, in grado di descrivere il successo e il declino del campione e dell’essere umano vittima dei suoi vizi e delle sue virtù.
Hank Cignatta