MI VERGOGNO DELLA STAMPA ITALIANA
Caro Montanelli, quanto vorrei una Stanza per poterLe dire quanto mi vergogno della stampa italiana di oggi…
Quando questa notte impazzavano sul web le prime pagine de Il Giornale e Libero, il momento dello sbigottimento per gli indecenti titoli sulla liberazione di Silvia Romano (“Schiaffo all’Italia. Islamica e felice. Silvia l’ingrata”, “Un velo pietoso”, “È come vedere tornare un prigioniero dei campi di concentramento orgogliosamente vestito da nazista”, “Abbiamo liberato un’islamica”, “La sua smania ci è costata cara”) si è presto tramutato nell’intenzione di voler commentare tramite parole non mie, ma di chi si sedette alla scrivania de “Il Giornale” per primo e di conseguenza molto prima dei Direttori “eredi” Alessandro Sallusti e Vittorio Feltri.
Ebbene Indro Montanelli, il quale (chi mi legge ormai lo sa) ricorre spesso nei miei scritti essendogli affezionato culturalmente anche se meno ideologicamente, nel 1974 fondò, per “rivolta” e “sfida”, “Il Giornale (nuovo)”, riscuotendo un clamoroso successo e assumendo ancora una volta un ruolo fondamentale nell’informazione nazionale (fino alla separazione da esso nel 1994). Nel primo glorioso editoriale, Montanelli scrisse riguardo l’origine, gli obiettivi e le modalità de Il Giornale: “Chi sarà questo lettore noi non sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tantomeno di partito, e nemmeno di classi o ceti. In compenso sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» […]. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. Del sistema in cui viviamo conosciamo tutte le piaghe, e non ci stancheremo di metterle a vivo. Ma per contribuire a cicatrizzarle, non a propagarne la cancrena. […] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore […]. Quanto al nostro modo d’intendere e di praticare l’obiettività dell’informazione e la sua netta distinzione dal commento, vera garanzia d’imparzialità giornalistica, non vogliamo dilungarci perché da oggi in poi esso sarà sotto gli occhi del lettore, unico giudice competente a pronunziarsi”.
Caro Montanelli, che valore hanno oggi queste Sue parole? Se solo potesse assistere al vivaio giornalistico odierno coi suoi proclami! Oggi, al lettore, non vengono imposte opinioni (errore da non commettere, come Lei suggerì in una stanza del 30/04/1997), ma giudizi sommari e propagandistici di bassa lega che fomentano i meschini istinti del poco colto tessuto umano e sociale del nostro paese. Il realismo prova a confortarmi sul fatto che, in fin dei conti, si tratta di sgradevoli e polemiche minoranze. Ammesso e non concesso che sia vero, è tuttavia il Suo realismo che mi convince che “le minoranze sono rumorosissime, e in Italia non sono le ragioni, ma i rumori quelli che finiscono sempre per vincere” (4/11/2000). Ecco perché, sebbene ancora in (non primissima) giovane età, ma Suo assiduo lettore, sono fermamente e presuntuosamente convinto che mai Lei avrebbe adoperato toni simili – che non riporterò ulteriormente, basti il pessimo assaggio iniziale – circa una ragazza (accusata anche del suo volontariato) prigioniera in Africa per un anno e mezzo. Di fronte non solo all’eclissarsi di una parte morale del giornalismo italiano (posto che essa fosse mai stata “viva”), ma anche al palesarsi dell’ignoranza di un’Italia destinata ad essere ricordata sempre più per la sua barbarie e indecenza culturale, temo, caro Montanelli, che avrebbe nuovamente rassegnato le sue dimissioni da italiano.
È a questa Italia pseudo-politica e pseudo-giornalistica che mi sento anche io tragicamente “condannato”.
Posso dunque concludere con una diretta ed inequivocabile “sensazione”? Che schifo.
Andrea Giannotti