I RAGAZZI DELLA ROMA VIOLENTA, PIU’ REALTA’ CHE FINZIONE
La cinematografia italiana di genere degli anni Settanta presenta sempre delle rarissime perle che non aspettano altro che essere portate alla luce dalle tenebre del tempo. In un periodo di grande fermento socio- culturale la Settima Arte si è fatta testimone di questa delicata pagina della storia italiana, sfornando diversi film di denuncia sociale che sono stoccate precise (e talvolta davvero letali) ad un sistema che deviava dalla legalità senza troppe misure nè complimenti.
Nel 1975 il caso di cronaca che venne ribattezzato come Il Massacro Del Circeo sconvolse con la sua feroce violenza l’opinione pubblica dell’epoca. Nel giro di pochi mesi il cinema (forte anche del successo del genere poliziesco) generò delle pellicole di forte denuncia che cercavano di fare luce, tra alterne fortune, sulle ragioni che hanno portato a questa violenta escalation sociale.
Tra questi film vi è I ragazzi della Roma violenta, liberamente ispirato ai fatti di cronaca del Circeo. Considerato un B-movie e stroncato senza mezze misure dalla critica del tempo, in questa opera audiovisiva si possono notare forti tinte noir e pulp caratterizzata da una trama a volte paradossale ma che, in fin dei conti, non si distacca troppo dalla realtà.
Il film narra le vicende di un gruppo di giovani intenti a vivere un periodo di fermento politico combattuto in diverse fazioni. Il primo nucleo è capeggiato da Marco Garroni, un giovane benestante dei Parioli. Nella sua visione malata e distorta della realtà contano solo il maschilismo, la violenza e la prevaricazione sia fisica che sociale.
Il secondo nucleo è caratterizzato da un gruppo di borgatari comandato da Schizzo nel quale fanno parte anche Nerone (masochista che per stare bene si autoinfligge ferite da taglio) e Gorilla (un bullo forzuto). Questi due nuclei, all’apparenza così diversi da un punto di vista sociale, daranno origine ad una spirale di violenze che porterà alcuni dei suoi componenti ad imboccare la strada senza ritorno dell’autodistruzione.
Benchè ci siano pellicole più conosciute di questo genere del periodo che trattano lo stesso tema ( uno tra tutti San Babila: Ore 20 di Carlo Lizzani) il film di Renato Savino si contraddistingue per una sincera crudezza che non deve sforzarsi più di tanto per discostarsi dalla realtà. Ciò che probabilmente lascia con l’amaro in bocca è che benchè siano passati circa quarantadue anni dalla realizzazione del film in questione la società, per assurdo, si è ulteriormente impoverita endeminzzando a vari livelli quell’odio e quel senso di impotenza che in questo film rappresentano la motivazione principale della violenza che i protagonisti scelgono di seguire.