MIKE TYSON, IL MARTELLO DI BROOKLYN
La storia di Mike Tyson è simile a tante altre che hanno permesso di rendere grande la Nobile Arte. Quello che rimane inimitabile nel suo genere è il suo stile unico ed inconfondibile, misto ad un atteggiamento furioso che lo ha reso uno dei pugili più temibili che siano saliti sul ring. Odiatelo o amatelo, ma di certo non potete rimanere indifferenti di fronte ad un simile personaggio.
Esattamente come aveva fatto Muhammad Alì nei due decenni precedenti, nel corso della sua carriera Tyson è stato in grado di diventare una figura iconica in grado di richiamare quell’attenzione tipica di quei campioni capaci di diventare immortali. Ciò che sta alla base del talento di Tyson è aver unito potenza e precisione nell’esecuzione dei colpi ad una prontezza di riflessi inusuali per un peso massimo.
Fin dal suo debutto nel mondo della boxe professionistica Iron Mike fu in grado di scrivere le pagine più belle del pugilato moderno. Ottenne la corona mondiale dei pesi massimi nel 1986 diventando a vent’anni il più giovane campione mondiale della storia dei pesi massimi ed unificò i titoli mondiali WBA e IBF.
Quando saliva sul ring, il pubblico sapeva che avrebbe assistito ad una sua devastante vittoria per KO e che lo spettacolo sarebbe stato assicurato. Ben presto quindi divenne la figura da battere, il campione da mettere in crisi con ogni mezzo. Le soddisfazioni sportive però iniziavano a viaggiare di pari passo con la figura di un campione turbolento fuori dal ring, incapace di stare lontano dai guai.
Il suo incontro con il leggendario promoter Don King lo allontanò totalmente dalla strada fatta di sacrifici e risultati che gli aveva insegnato il suo mentore Cus D’Amato e ben presto il campione venne travolto dall’aspetto più materiale della fama caratterizzato da eccessi, lusso sfrenato e deliri di onnipotenza. Nel 1992 balzò agli onori della cronaca quando Desirèe Washington, all’epoca diciottenne reginetta di bellezza del Rhode Island, lo accusò di stupro. Venne condannato a sei anni di prigione e nel 1996 difese i titoli WBA e WBC rispettivamente contro Frank Bruno e Bruce Seldon.
Passato alla storia per l’episodio del morso all’orecchio dato al suo avversario Evander Holyfield dove gli staccò un pezzo di cartilagine, Tyson rimane comunque una delle figure sportive più importanti e rappresentative degli ultimi anni. E’ entrato di diritto all’interno dell’immaginario collettivo tanto quanto il suo inconfondibile tatuaggio maori sul viso, riuscendo a riciclandosi con alcuni camei in diversi film dimostrando che non importa quante volte la vita ti mette al tappeto. L’importante è rialzarsi sempre, più forti di prima.
Se Holyfield avesse tenuto la ” testa a posto” e avesse incontrato Tyson nel primo periodo della sua carriera
l’avrebbe avuta dura a batterlo. Attraverso una tecnica di testate e trattenute Holyfield riuscì ad imbrigliare Tyson.
Tyson per contro dopo un certo periodo della sua vita a mio parere non fece quasi mai una vita da atleta facendo uso di droghe, alcool oltre ad altre continue sregolatezze.
La prima sconfitta di Tyson risale all’11/02/1990 a Tokio. Malgrado la sconfitta nessuno pensava che Douglas fosse più forte di Tyson.
Tutti pensavano ad una giornata storta.
E in effetti Tyson si era presentato sul ring in condizioni psicofisiche deplorevoli.
Per contro il suo avversario era al top della forma.
La concomitanza di questi fattori determinò l’esito. Nelle varie riprese dell’incontro Tyson fu colpito duramente più e più volte.
Fu l ‘effetto cumulativo di questi colpi a determinarne la disfatta al decimo round.
Non riuscendo più a vedere da un occhio chiuso e suonato come un bronzino fu centrato da una durissima combinazione.
Malgrado tutto però aveva fatto abbastanza per vincere l’incontro (ottavo round).
Ma non è questo il punto.
Il punto è che un campione deve desiderare di riscattare una sconfitta.
E un campione che tenga al suo nome e vuole togliere una macchia dalla sua carriera deve fare almeno due incontri di rivincita con esito positivo con l’avversario che l’ha battuto.
Per cui dico.
LA RIVINCITA CON DOULGLAS TYSON LA DOVEVA FARE.
Non c’è mai stata in nessun momento.
Lo stile di vita un’altra bega.
Il massiccio uso di cocaina, antidepressivi alcool,
unita ad una serie di problematiche come si evince dal suo libro edito
possono contrastare le capacità di un qualsiasi atleta.
Per questo ho l’impressione che quella di Mike Tyson potrebbe essere una storia da riscrivere.
Contro Lewis Tyson era ormai andato e contro Holyfield
avrebbe certamente fatto meglio nel primo periodo della sua carriera.
Non avrebbe però mai battuto il primo Foreman.
Se paragonato ad altri indiscussi campioni il corto Mike Tyson non era certamente il migliore pur rimanendo uno dei pugili più forti in circolazione. Impressionante rimane il modo che aveva di caricare i colpi. Ogni colpo portato verso l’avversario pareva contenere intenzioni omicide. Non ricordo di aver mai visto nessuno pugnare così tranne forse il vecchio Jack Dempsey.
Condivido con chi ha espresso che la sua grande fortuna è derivata principalmente dall’essere apparso sulla scena in un periodo in cui vi era una carenza di grandi campioni.
Se avesse incontrato Foreman all’inizio degli anni settanta avrebbe fatto una fine simile a Frazier visto anche una certa similitudine tra i due. Stessa potenza, velocità e vitalità di Foreman ma penalizzato in allungo – una volta trovata la giusta misura Foreman l’avrebbe bombardato di colpi come a Frazier e per Tyson sarebbe stata finita. Contro Marciano però lo avrei visto invece vincente. Marciano 1,78 cm di altezza e cioè due in meno di Tyson. Per la prima e unica volta Tyson sarebbe stato di fronte ad un pugile più basso. Considerando il modo con cui Marciano andava avanti scoperto benché grande incassatore la scommessa l’avrei fatta su Tyson. E contro Clay sempre basandomi sulla similitudine a Frazier lo avrei ancora dato vincente. Frazier è sempre stato la bestia nera per Clay che ha dimostrato di faticare a contenere i corti veloci.