IL LOCKDOWN E LA TUTELA DELLA SALUTE PSICOLOGICA
L’Italia si prepara ad addentrarsi sempre più nel vivo della Fase Due dell’emergenza, a seguito dei mesi di quarantena trascorsi, a cui si inizia a varare un primo bilancio dello status dei cittadini e della loro ripartenza. Di quali cittadini, però?
Stando alle ultime misure varate, pare ancora una volta che non tutte le emergenze siano sullo stesso piano: la morte psichica pare non essere assolutamente o per nulla tenuta in considerazione, la cui vita dipende da un numero telefonico da chiamare in caso di “emergenza”.
“Respiratori” per evitare il collasso psicologico di una buona parte della popolazione pare non siano previsti, almeno per il momento. Il risultato è un “lockdown” che forse mieterà più vittime dei malati clinici da Covid-19 e che sta mietendo, a sentire dalle ultime ore, una serie di suicidi a catena, oltre all’aggravarsi delle condizioni già precarie di alcuni pazienti.
Le conseguenze dell’emergenza a cui si sta assistendo sta mettendo a dura prova la resistenza dell’apparato decisionale e di una cultura intera che, nonostante gli sforzi ragionati per rilanciare il Paese, si sta dimenticando della macchina più importante di tutte: la capacità del cervello di essere reattivo e resiliente ad un disastro di questa portata. Non esiste, ad oggi, una rete di strutture capillare tale da poter sopperire ai bisogni di una popolazione, che per motivi economici, isolamento, malattie mentali e disturbi psichici, si ritrova a dover affrontare una lotta prima contro se stessa e di abbandono, a cui si aggiunge il reinserimento sociale e lavorativo. In situazioni di normotipia, il sistema degli aiuti psicologici privati si rivelano troppo esosi e il sistema sanitario versa al sostegno della salute psicologica dell’individuo un numero esiguo di risorse; questo conduce ad un sovraffollamento delle strutture e alla carenza di personale qualificato, provocando così un collasso delle strutture perché incapace di garantire un trattamento dignitoso, nonché il burn-out (termine con il quale si vuol fare riferimento ad un esaurimento causato dal sovraccarico di stress in ambito lavorativo) del personale residuo; fenomeno già in essere per tutto il personale sanitario del panorama italiano, a causa dei tagli che la sanità ha subito negli ultimi anni.
È ad oggi un’utopia, ma occorre seriamente ripensare una cultura intera: un sistema di welfare state (letteralmente: benessere statale) non può parlare di progresso, né di una ripresa sostanziale, se non pone al centro della propria ragion d’essere la salute dell’individuo a 360 gradi. Troppo spesso ci si dimentica che buona parte dei disturbi psicologici sono causati da due tipi di sistemi: un macrosistema, come lo Stato; e un microsistema, come il proprio contesto di crescita ed educazione. Quali misure adottare, dunque? Il suddetto articolo ha il semplice obiettivo di esporre una criticità del sistema ad oggi presente e una riflessione per i lettori, profan e non della materia, che metta in luce e dia voce agli invisibili. Le soluzioni a suddetta problematica stanno avanzando in proposte e progetti da parte di professionisti del settore. La speranza è che queste iniziative siano prese in considerazione e ascoltate, perché sono rappresentanza di una parte fragile del Paese che diventa sempre più significativa, ragion per cui non è più possibile fare finta di niente.
Roberta Bagnulo