TRUMP, JOHNSON ED IL MESSAGGIO PEDAGOGICO DEL CORONAVIRUS. UN’OCCASIONE DA COGLIERE.

Si può recuperare l’”Altro” perduto?

Trump rifiuta il tampone, Boris Johnson rifiuta di affrontare l’emergenza sanitaria e consiglia di abituarsi all’idea di perdere i propri cari.

Due populisti che hanno avuto molto successo per il loro messaggio di una vita no limits.

Eliminiamo l’”Altro”, che può essere un fattore di impedimento al nostro procedere senza dover rispondere di niente e a nessuno.
Alziamo muri, si può fare a meno di chi ci mette di fronte e a contatto con l’”altrove” che non vogliamo vedere, the dark side of the moon. 

Quale futuro per le nuove generazioni se le leadership non accolgono, danno attenzione, ascoltano la realtà che li circonda?.
Show, don’t tell. Si educa mostrando, non raccontando. 

Com’era il mondo pre-coronavirus? 

In quale mondo stavamo vivendo? E il coronavirus cosa ci sta chiedendo?

Siamo reduci da un’estate in cui il “coronavirus”, inteso come l’unico argomento catalizzante l’attenzione dei media e dei social, era un ministro dell’interno che si postava in costume al Papeete con aperitivo in mano, e l’unica emergenza da affrontare per risolvere le sorti dell’Italia altro non era che impedire di arrivare sulla terraferma ai disperati del mare, gli immigrati sui barconi.

I comportamenti postati e resi virali, mandavano un unico messaggio.
Si vive così, senza limiti, disponendo a piacimento dei deboli, andando personalmente a citofonare a chi si pensa sia una persona da eliminare. 

Occhio per occhio, citofono per citofono.

Tutti i leader mondiali, Trump, Bolsonaro, Macron, Salvini, sono espressione di un virus digitale, immesso in grandi dosi sul web, la Realtà 2.0, anch’essa no limits.

Riempiendo le casse di Facebook e Twitter, per immettere tumori sociali, riuscendo a infettare e portare al voto la massa di burattini senza fili che la perenne connessione ha prodotto in meno di una decade. 

Questo il mondo che il virus, quello reale, off-line, ha incontrato.

Ha trovato una società in cui il tessuto relazionale ha ceduto, la desertificazione culturale è stata una pandemia che ha ridotto il vocabolario delle persone a poche parole e troppi “like”. 

In cui la capacità di attenzione si è ridotta a 7 secondi.

Senza parole le relazioni hanno perso ogni connotazione emotiva, baci e abbracci erano già stati ridotti dall’invio di emoticons via whatsapp. 

In pochi giorni il coronavirus ha imposto la sua legge.

Come se la società avesse abbassato le difese, come in un organismo ormai in sofferenza, in cui il sistema immunitario non fosse più adeguato alle nuove sfide del nuovo mondo in cui si vive senza l’”Altro” e la Realtà. 

Un cedimento del patto sociale ed un indebolimento delle “barriere relazionali”  ci hanno reso impreparati all’arrivo del virus, che è riuscito a trovare terreno fertile con maglie troppo larghe.

Come se ci stesse dicendo “ti rimetto al centro del tuo destino, scegli tu, può tornare con i piedi per terra, gli occhi negli occhi, reinserire il tuo essere al mondo, nel Noi, in cui non sei più.
Non ti chiedo molto, o forse si, stare fermo, tornare a casa, rimanerci sino a che non ti renderai conto che anche io, il virus, abbia accettato un limite, anche io abbia accettato di stare fermo, di tornare a casa.
Vediamo se riuscirai ad aspettare, a rimetterti in contatto con te stesso e l’”Altro”, che dio Google, fratello Facebook, sorella Instagram, papà, mamma, amico YouTube, ti hanno fatto dimenticare “. 

È un messaggio pedagogico fondamentale.

La storia può tornare nelle nostre mani. 

Possiamo ancora riconoscerci negli occhi di un Altro che è ancora a casa nostra e non vedevamo o ascoltavamo più.

Chi sta rifiutando questa sfida? 

Trump, Johnson, il populismo che non accetta il limite, non mette in conto l’”Altro”, alza muri, semina odio, non accetta la sconfitta e che ha proposto l’idea di vivere senza responsabilità.
Nella logica sterile della Colpa, le regole non esistono, mentre il virus indica una strada completamente diversa. 

Riflettere sulla concreta possibilità di morire, di tornare cioè a vivere nella realtà, che richiede compostezza, assunzione di responsabilità, accettazione della logica del dialogo, che ha in sé il limite imposto dell’”Altr”o dialogante.

Una possibilità. 

Un periodo di quarantena, di riflessione forzata. 

Riflessione.
Un’attività da recuperare per tornare a “Sentire” e “Capire”. 

Leggere e Scrivere. 

Leggere rende liberi, Scrivere felici. 

Leggere per capire,
leggere in se stessi,
leggere “la musica che gira attorno”,
per tornare a scrivere il nostro destino, per tornare ad essere padroni di Noi stessi.

Un messaggio, una sfida da cogliere. 

Tornare ad annoiarsi, so-stare, lasciar andare i pensieri, vivere nuovamente e pienamente la ricchezza dell’esperienza umana, il volto dell’”Altro”, lo sguardo che apre ad un futuro da vivere nuovamente insieme. 

Due parole che ci hanno, da sempre, permesso di crescere e riconoscerci negli occhi, nelle parole, nell’ascolto di chi in casa era con Noi. Di sognare. 

Due parole, ormai svuotate di senso dall’abuso, un vero e proprio stupro lessicale, perpetrato sul web.
Le uniche che potranno permetterci di star fermi, in casa, felicemente, in attesa che anche il virus accetti di fermarsi. 

Condivisione e Amicizia.

“la libertà è la serena e consapevole accettazione dei vincoli”. 

Albert Einstein 

Giovanni Tommasini 

 per mettere al primo posto il bene comune, è necessario saper fare un passo indietro….

PER APPROFONDIRE.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Translate »