FENDER E GIBSON: QUANDO IL ROCK E’ AL CAPEZZALE DEL SUO STESSO DESTINO
Cronaca di una morte annunciata. Si potrebbe riassumere così il destino di un genere musicale che ormai da tanto, troppo tempo ha smesso di essere la cassa di risonanza delle rivoluzioni giovanili di intere generazioni. Il Grunge, per quanto da alcune persone non venga definito un vero e proprio genere musicale, è stata l’ultima grande ribellione a suon di rock in grado di incidere una tacca nella storia della musica recente. Un branco di giovani capelloni, sporchi e disillusi dalla vita ha portato alla ribalta dell’opinione pubblica internazionale la propria voglia di ribellione. Ma il tutto è sparito con il rumore di un fucile nell’aprile del 1994 con la morte di Kurt Cobain e la fine commerciale di quel fenomeno socio-culturale di massa.
Se a tutto questo aggiungiamo nell’ultimo triennio la morte di alcune figure chiave del genere stesso quali Lemmy Kilmister, Scott Weiland, Chris Cornell, Chester Bennington, Prince, Keith Emerson, Glenn Frey e David Bowie solo per citarne alcuni tra i più importanti il quadro è al completo. Il ricambio generazionale più devastante di sempre. Tanti mostri sacri in grado di fare la storia. Nessuno in grado di poter raccoglierne il testimone e continuare verso la strada tracciata. Gli ultimi eroi del rock sono i Foo Fighters, con Dave Grohl ormai assurto a ruolo di immortale delle sei corde. Una vera e propria crisi di identità spinta senza ritegno alcuno da quell’industria musicale che non prova rimorso per aver messo al bando la fine della scoperta del puro talento. Lo ha dovuto spettacolarizzare, facendolo passare attraverso il voto di una giuria di individui convinti che il proprio voto sia effettivamente vitale per alimentare le macchine che tengono in vita il rock.
Perché un gruppo di giovani che sognano di poter avere successo con la propria musica deve suonare facendo la gavetta, dalle fredde e buie cantine per poter arrivare con enormi sacrifici sui palchi più prestigiosi del mondo se basta iscriversi a un qualsivoglia talent show per avere un minimo di visibilità in televisione e far veicolare la propria musica? Questo è il messaggio che sta alla base di tutta questa situazione ormai critica. Come critica è la vicenda che attanaglia la Gibson, marchio produttore di chitarre tra i più famosi al mondo, che rischia la bancarotta. Le sue chitarre hanno avuto il privilegio di essere state fatte letteralmente cantare da artisti del calibro di B.B. King, Jimmy Page, Santana, Slash, Angus Young, The Edge e Dave Grohl. La notizia che circola da qualche giorno, portata alla luce dal Nashville Post, afferma che la situazione finanziaria della Gibson Brand Inc. è tutt’altro che normale.
Il noto brand ha un debito di oltre 375 milioni di dollari in obbligazioni e prestiti dalle banche da versare il prossimo 23 luglio, termine oltre il quale la Gibson rischia un ulteriore aggravio di 145 milioni. Una vera e propria corsa contro il tempo per cercare di preservare una delle parte più iconiche della storia del rock. Anche la Fender, altro storico marchio rivale per antonomasia della Gibson, non se la passa di certo meglio. E’ la triste cronaca di questi tempi di cambiamento. Cambiamento di gusti, di idee, ma soprattutto di cultura. Infatti, come ha dichiarato l’amministratore delegato di Fender Andy Mooney, “il 45 % delle chitarre che vendiamo vengono acquistate da principianti che abbandonano dopo un anno”.
A livello economico, per il marchio reso famoso da artisti del calibro di Eric Clapton, Jimi Hendrix, Bob Dylan, Keith Richards e David Gilmour si tramuta in una flessione dei ricavi nell’ultimo triennio da 675 a 545 milioni di dollari, con 100 milioni di debiti. Siamo quindi realmente assistendo al canto del cigno di un intero genere musicale che sembra non potersi più mettere in salvo da un destino ormai segnato? La cronaca di una morte annunciata da anni, spaccato di una società non in grado di creare qualcosa che possa essere duraturo nel tempo. Andiamo sempre di corsa, cerchiamo la soluzione più facile e tutto dev’essere già preconfezionato altrimenti siamo costretti a ricorrere a costose sedute di terapia per esorcizzare il tutto.
E la creatività finisce lungo il canale di scolo dei ricordi, con tutto quello che di buono ha permesso a questo mondo di girare nel verso giusto. Spero solo di dissolvermi nell’aria prima che la situazione sfugga di mano a tal punto da sentirmi un vecchio analogico in un mondo digitale. Perché allora la musica che da sempre ho usato per esprimere i miei sentimenti sarà ormai catalogata come reperto da museo. E adesso ho davvero bisogno di un drink.